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Fine estate, energia al minimo? Il magnesio come reset naturale
Con la fine dell’estate, è probabile avvertire un calo di energia unito a una maggiore fatica fisica, difficoltà di concentrazione e sbalzi d’umore. Questa sensazione di spossatezza può essere legata a carenza di magnesio, minerale essenziale per il nostro benessere psicofisico. In questo periodo di transizione dalla stagione calda a quella autunnale, il magnesio può diventare un vero alleato per “resettare” corpo e mente, aiutando a ritrovare l’equilibrio necessario per affrontare il cambio di stagione.
Spossatezza estiva: ecco da cosa dipende
Il passaggio dall’estate all’autunno rappresenta una fase di adattamento importante per l’organismo. Dopo essersi abituato a settimane di caldo intenso, esposizione solare, giornate più lunghe e ai classici ritmi estivi, il corpo si trova improvvisamente a fronteggiare:
- riduzione delle ore di luce, che influenza i ritmi circadiani e la produzione di melatonina e serotonina
- ritorno a ritmi frenetici lavorativi e scolastici
- possibile alimentazione sbilanciata durante le ferie
- perdita di sali minerali legata alla sudorazione abbondante nei mesi estivi
Ognuno di questi fattori incide sulla nostra energia fisica e mentale e, certamente, sui livelli di magnesio nell’organismo.
Magnesio: il minerale che ci dà energia
Il magnesio è uno dei minerali più importanti per il nostro benessere e che sostiene muscoli e mente. Il magnesio prende parte a oltre 300 reazioni biochimiche nel corpo e svolge un ruolo chiave nella produzione di energia, nella sintesi proteica, nella trasmissione degli impulsi nervosi, contrazione e rilassamento muscolare, regolazione della pressione sanguigna e del battito cardiaco e nella salute di ossa e denti.
Se il nostro organismo è carente di magnesio, possono manifestarsi alcuni sintomi molto comuni, oltre alla stanchezza già sopra citata. Per esempio:
- crampi muscolari
- mal di testa ricorrenti
- insonnia o sonno disturbato
- difficoltà di concentrazione
Vi sono alcune categorie di persone – come le donne in gravidanza e gli sportivi- che sono più esposte al rischio di carenza di questo minerale. Tra queste, figurano anche le persone che seguono una dieta povera di verdure e cereali integrali, e i soggetti sottoposti a forte stress.
Reset naturale con magnesio: quando gli integratori possono aiutare
Il magnesio,è contenuto in diversi alimenti: dalle verdure a foglia verde ai legumi, frutta secca e semi, cereali integrali, cioccolato fondente, ecc. Gli integratori a base di magnesio possono rappresentare una soluzione pratica ed efficace, quando il cibo che assumiamo non basta da solo a coprire il fabbisogno giornaliero, cheper gli adultisi attesta intorno ai 240-400 mg. Nel periodo che segna la fine dell’estate può essere utile scegliere una formulazione che agisca su più fronti: energia, equilibrio elettrolitico, sistema nervoso e muscoli, come Magnesio Supremo Potassio+, a cui abbiamo già dedicato una news approfondita su HealthVerse. La sua formula combina magnesio marino con potassio, fosforo e vitamine C, B2 e B12, fondamentali per la produzione di energia e la riduzione della fatica mentale.
La stanchezza di fine estate non è solo una questione di stress post-vacanze: può essere un segnale che invita a rallentare, a nutrirsi meglio e a sostenere l’organismo assumendo del magnesio per ritrovare energia, equilibrio e concentrazione.
Gambe leggere contro il caldo: come migliorare la microcircolazione
Affaticamento, gonfiore, formicolio e senso di pesantezza: sono le sensazioni più comuni provocate dal grande caldo estivo, e che sono correlabili ad alterazioni della funzionalità del microcircolo periferico. Le temperature elevate possono, infatti, compromettere la salute delle gambe: il caldo determina una naturale vasodilatazione, rendendo più difficile il ritorno del sangue venoso verso il cuore. Cosa comporta tutto ciò? Una circolazione sanguigna più lenta, con ristagni nei distretti periferici e un conseguente aumento della pressione nei piccoli vasi. Questo processo può favorire l’infiammazione locale e la formazione di edemi: i sintomi più noti, oltre a quelli già citati, possono includere anche dolore o prurito.
Microcircolo e gambe pesanti: un legame da non sottovalutare
Il buon funzionamento del microcircolo è essenziale per la salute delle nostre gambe. Parliamo di una rete di minuscoli vasi che porta ossigeno e nutrienti ai tessuti e ne rimuove le scorie. Se questa rete non lavora in modo efficiente, si creano accumuli di liquidi e scorie metaboliche, che causano sintomi tipici come affaticamento, gonfiore e prurito. Le cause possono essere molteplici: invecchiamento, predisposizionegenetica, vita sedentaria, alimentazione sbilanciata, sovrappeso o gravidanza. È importante sottolineare che alterazioni del microcircolo non sono quasi mai temporanee, e, se trascurate, tendono a ripresentarsi ciclicamente, soprattutto con l’arrivo dell’estate.
Le strategie più efficaci per alleggerire le gambe
Sono varie e spaziano dall’aumentare l’attività fisica, al migliorare l’alimentazione e lo stile di vita,semplici accorgimenti che, se ripetuti con costanza, possono davvero apportare benefici. Camminare, pedalare, nuotare o anche solo fare brevi esercizi di stretching ogni ora durante il lavoro, sono abitudini importanti per stimolare la circolazione venosa e prevengono la formazione di ristagni. Anche l’idratazione è importante: bere almeno almeno 1,5-2 litri al giorno favorisce il corretto funzionamento del microcircolo. Una dieta ricca di frutta, verdura, cereali integrali e povera di sale,migliora il drenaggio dei liquidi.Sollevare le gambe, sopra il livello del cuore, facilita il ritorno venoso; lo stesso dicasi per un massaggio eseguito dal basso verso l’altro, con piccoli movimenti regolari, per stimolare il flusso venoso e linfatico.
Quando è il momento di consultare un medico?
Se gonfiore, pesantezza o formicolio alle gambe persistono, è sempre bene rivolgersi a uno specialista. In particolare, condizioni come ipertensione, obesità, diabete o familiarità con disturbi circolatori richiedono un monitoraggio più attento da parte di un angiologo o flebologo.
Il benessere delle gambe parte dalle piccole abitudini
Affrontare il caldo estivo con gambe leggere è possibile, ma richiede un’attenzione quotidiana. Microcircolazione e salute delle gambe, infatti, sono strettamente legate: migliorare l’una significa proteggere l’altra. Bastano piccoli gesti, ripetuti nel tempo, per vivere una routine estiva più leggera.
Caldo e cistiti: proteggere la salute intima femminile
Estate e benessere intimo: parliamo di un equilibrio delicato. Temperature elevate, abbigliamento sintetico, sabbia, cloro e umidità possono alterare la flora vaginale, rendendo più vulnerabile la zona intima a infezioni, bruciori e fastidi ricorrenti. Tra le problematiche più comuni c’è la cistite, un’infiammazione della vescica urinaria, spesso dovuta a un’infezione batterica, che colpisce una donna su due almeno una volta nella vita. Il più delle volte si tratta di un disturbo che tende a ripresentarsi proprio nei mesi più caldi, complici la sudorazione abbondante, la scarsa idratazione e la permanenza prolungata in costumi umidi.
Supportare il microbiota: un aiuto in più nei periodi critici
In estate può essere utile sostenere il microbiota vaginale con un’integrazione adeguata e specifica. Alcuni ceppi di lattobacilli selezionati (per esempio L. rhamnosus; L. gasseri; L. crispatus) sono noti per la loro azione benefica sull’ecosistema vaginale. Agiscono infatti favorendo la protezione della mucosa, producendo sostanze antibatteriche naturali e ripristinando un ambiente ostile ai patogeni. Anche l’associazione tra salute intestinale e vaginale non va sottovalutata: un intestino in equilibrio, infatti, favorisce anche un microbiota vaginale più stabile, riducendo il rischio di migrazione dal tratto intestinale di batteri indesiderati come l’Escherichia coli.
Escherichia coli: il batterio più insidioso e comune
La maggior parte delle infezioni urinarie estive ha una causa ben precisa: l’Escherichia coli. Questo batterio, normalmente presente nell’intestino, può migrare nell’uretra e causare infezioni quando il sistema di difesa locale è più debole. Una barriera vaginale sana e un microbiota intimo in equilibrio rappresentano la prima linea di difesa contro la sua proliferazione. Il passaggio del batterio Escherichia coli verso le vie urinarie è facilitato da fattori esterni, come l’uso prolungato di indumenti umidi o sintetici, ma anche da una scarsa igiene intima, o da rapporti sessuali non seguiti da adeguata idratazione e igiene.
Il ruolo del microbiota vaginale nella prevenzione
Il microbiota vaginale è una comunità di microrganismi formata principalmente da lattobacilli, che proteggono la mucosa genitale da infezioni e infiammazioni. Quando questi batteri sono in equilibrio, mantengono il pH acido ostacolano la crescita dei patogeni e rafforzano le difese immunitarie locali. Tuttavia, fattori come l’uso prolungato di antibiotici, stress, alimentazione squilibrata, contraccettivi ormonali o la stessa sudorazione estiva, possono alterare questo ecosistema. Un microbiota alterato è un terreno fertile per infezioni urinarie e vaginali, come la cistite.
Mantenere un microbiota vaginale in equilibrio rappresenta un meccanismo chiave nella protezione contro le infezioni, in particolare quelle causate da Escherichia coli. Interventi mirati assunzione di probiotici specifici, corretta igiene intima, idratazione adeguata e scelta di indumenti traspiranti- possono contribuire significativamente a ridurre l’incidenza delle infezioni urinarie ricorrenti. Promuovere la salute del microbiota vaginale, anche in relazione all’equilibrio intestinale, è un’utile strategia, che si fonda su basi microbiologiche e cliniche consolidate.
Essere un medico internista oggi: intervista al Presidente FADOI Francesco Dentali
A far conoscere al grande pubblico la figura del medico internista è stato senza dubbio il medical drama “DOC – Nelle tue mani” con protagonista Luca Argentero. In Italia i medici internisti sono circa 11.000 e sono 1 milione i pazienti di cui si prendono cura ogni anno. Rispetto agli altri Paesi europei, il nostro è primo al mondo per iperspecializzazione: tuttavia, il paziente con una singola patologia ormai non esiste più. Francesco Dentali, Presidente nazionale FADOI (Federazione delle Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti), racconta quanto sia cambiata la sua visione della medicina interna rispetto al passato. In Italia l’aspettativa di vita di uomini e donne è cresciuta, ad oggi si aggira intorno agli 81 anni per gli uomini e gli 85 anni per le donne: siamo tuttavia il Paese in cui gli ultra sessantacinquenni presentano più co-patologie: nel senso che il numero di ultra sessantacinquenni privi di co-patologie è al 35° posto in Europa. Per questa ragione, per il dott. Dentali, oggi la medicina interna presuppone una presa in carico totale del paziente. “Il medico internista è una sorta di medico di medicina generale, ma ad un livello diverso. Ci occupiamo di terapia sub intensiva, facciamo ecografie, prendiamo tutti gli accessi venosi e arteriosi, ventiliamo i pazienti in maniera non invasiva. Forniamo ai pazienti un’intensità di cura che, purtroppo sul territorio semplicemente non è possibile”.
Il medico internista, tra competenze tecniche e umane
La gestione del paziente è molto delicata poiché, il più delle volte, riflette anche un problema sociale: si tratta di persone che vivono in casa da sole o in dormitori, e che non sono in grado di svolgere diverse attività in modo autosufficiente. Per questo, il medico internista ha grandi competenze non soltanto tecniche e professionali, ma anche umane. “Io sono uno specialista in ambito cardiovascolare. Tuttavia, se dovesse capitarmi un paziente affetto da polmonite, avrei la necessità di essere in grado di poterlo gestire. È opportuno avere competenze tecniche multidisciplinari, che vadano al di là della singola materia. Non esiste, ad esempio, un paziente ricoverato che non abbia un’insufficienza renale. O ancora: il 30% dei nostri pazienti è diabetico, il 90% di loro è iperteso, più del 50% è dislipidemico”, chiarisce il dott. Dentali. BPCO – Broncopneumopatia cronica ostruttiva – e scompenso cardiaco sono le prime due cause di ricovero in medicina interna. “Il 70% di tutti gli scompensi cardiaci è ricoverato nel reparto di medicina interna, così come quasi l’80% delle BPCO riacutizzate. È possibile che arrivi un paziente con scompenso cardiaco e con anche una BPCO in anamnesi. Il nostro compito è di fare una revisione di tutta la terapia. Nell’ultimo anno e mezzo stiamo vaccinando i pazienti al termine del ricovero. Si tratta di individui chiaramente fragili, il 10-12% di loro si trova nell’ultima fase della vita. Sono pazienti che necessitano o meriterebbero uno o più vaccini. Il fatto di vaccinarli prima di dimetterli è un vantaggio non trascurabile: una volta fuori, non è detto riusciranno ad avere un contatto immediato con la sanità. Per questo, assicuriamo loro un servizio di prevenzione che fuori dall’ospedale potrebbero non riuscire ad avere”. Gli aspetti sociale e umano delle cure stanno diventando importanti tanto quanto le competenze tecniche: “A volte la competenza tecnica è addirittura meno importante. Se il paziente durante il ricovero non mangia, tutto ciò che facciamo non servirà. Il nostro lavoro è una missione: non abbandonare i pazienti. Non possiamo prescindere dall’aspetto umano, che migliora addirittura le loro prognosi. Il 50%-60% di loro, durante il ricovero, è soggetto a episodi di delirium: uno stato di disorientamento acuto che può essere esplosivo o depressivo. Chi va incontro a questo stato, ha una mortalità tre volte maggiore e in alcuni casi non torna più quello di prima”. Secondo il dott. Dentali, per ovviare a questa condizione, è opportuno integrare delle semplici attività mirate a fare compagnia al paziente: parlare con lui, rendere più domestica la stanza anche solo fissando un orologio alla parete, leggere il giornale. “È anche necessario creare una relazione stretta e umana con i volontari ospedalieri. A Varese c’è l’Associazione AVO, che ci aiuta nel dare ulteriore supporto ai pazienti. Con loro stiamo mettendo a punto un progetto con delle bambole di pezza da dare alle persone dementi o in stato di pre-demenza: se adeguatamente seguite, queste persone possono accudire queste bambole e i risultati sono incredibili”. Ciò è possibile grazie alla collaborazione degli infermieri e dei volontari. È importante crederci. “I medici internisti sono molto in contatto con i pazienti oncologici: se fanno terapia attiva si trovano nel reparto di oncologia, se tuttavia sviluppano delle complicanze ulteriori non faranno più terapia attiva e passeranno al reparto di medicina interna. Il vero luogo della sofferenza dei pazienti è la medicina interna”.
Essere un medico internista è una scelta umana
In Italia ci sono 10.800 medici internisti. FADOI ne rappresenta 5200, quasi il 50%: per una Società scientifica è un numero alto. Tra tutte le branche della medicina, i medici internisti hanno certamente degli svantaggi competitivi: quasi sempre si lavora nel Sistema Sanitario Nazionale, senza poter svolgere attività privata. “È più una questione di come si vive la cura. Noi vogliamo fare il meglio possibile per i nostri pazienti. Siamo più vicini alla complessità e alla loro umanità. Farlo nel modo giusto cambia la prognosi. In Italia abbiamo 4 milioni di persone di oltre 65 anni che non sono in grado di badare a sé stesse. Un medico internista sa che deve avere altri obiettivi oltre la guarigione: far star bene il paziente, fosse anche solo farlo respirare meglio”.
Non bisogna limitarsi a curare un paziente per la patologia per cui è stato ricoverato, ma cercare di curare tutto il possibile: “Innanzitutto lo si fa per il paziente, e poi anche perché siamo uno dei Paesi con il numero di posti letto più basso per abitanti. Un altro aspetto importante riguarda anche il fatto che la medicina interna abbia tutti gli ambulatori di prevenzione cardiovascolare: se arrivano nuovi farmaci, lo specialista di riferimento diventa il cardiologo. Tuttavia, anche gli internisti sono importanti: noi il paziente lo vediamo in diversi momenti”.
Medici internisti e terapie farmacologiche
“Quando ho iniziato, 25 anni fa, c’era la regola del 5: se un paziente assumeva 5 farmaci, bisognava fare il possibile per toglierne uno. Come medico internista, il mio compito è quello di provare a offrire la terapia migliore al mio paziente: devo senz’altro conoscere i farmaci più innovativi”. Secondo il dott. Dentali, sono importanti due fattori: l’interazione propria dei farmaci e la tollerabilità. “Ci sono dei dati interessanti sui pazienti cardiopatici ischemici: a un anno di distanza, solo il 60% di loro prende l’anti- aggregante piastrinico. Significa che il 40% non lo assume. Di nuovo, entra in ballo la componente umana che è importante: il mio obiettivo, ossia quello di fargli assumere il farmaco, deve diventare anche il suo obiettivo. Certo, se il paziente tollera male un dato farmaco, è difficile che poi lo prenderà”. Per qualsiasi patologia tra quelle prevalenti, utilizzare la migliore terapia, ha un effetto superiore rispetto a quello di qualsiasi innovazione terapeutica. Ciò vale per tutti i pazienti. Un medico internista deve avere ben chiaro l’ambito in cui sta attuando la revisione terapeutica, che è più che mai necessaria, soprattutto perché oggi l’accesso alla sanità è difficile. “Credo molto che a un livello di intensità di cure più basso, il centro della cura debba essere il medico di medicina generale. A un livello un po’ più complesso, di quella fascia di pazienti che poi vengono dimessi, il centro della curva dovrebbero essere gli internisti con, come satellite via via più importante, gli altri specialisti. Abbiamo ottimi rapporti con i cardiologi, gli endocrinologi, gli pneumologi. Stiamo cercando di fare rete soprattutto per quelle patologie ad alta prevalenza”.
Essere un medico internista in Italia
Il ruolo del medico internista in Italia non è sufficientemente valorizzato, come d’altro canto le specialità ospedaliere in generale: in ogni ospedale dev’esserci un medico di pronto soccorso o di medicina d’urgenza, un anestesista, un chirurgo, un internista ed eventualmente l’ortopedico. Tutte queste specialità sono le meno gettonate tra i giovani, che scelgono per lo più dermatologia, oculistica, chirurgia plastica, otorinolaringoiatria. “Non è un caso, bisognerebbe rendere le nostre specializzazioni molto più attrattive. Nel rapporto con il paziente è chiaro siano le più complesse, perché hanno a che fare con la vita e la morte.
Tuttavia, quello del medico internista è un lavoro davvero soddisfacente, appagante, perché ha in sé il privilegio di far stare bene le persone.
L’importanza di fare rete con le aziende
“In questo lavoro splendido abbiamo bisogno di tante cose: i medici internisti hanno bisogno delle aziende per fare sempre il meglio possibile per i pazienti, attraverso gli aggiornamenti. Bisogna che le aziende imparino ad ascoltare i bisogni del medico. È necessario essere tutti uniti per il bene dei pazienti. Avere una classe dirigente di medici, aziende e pazienti tutti dalla stessa parte, è fondamentale”. Secondo il dott. Dentali, l’azienda deve porsi come ponte tra pazienti, associazioni di pazienti e ogni altro singolo attore che possa dare una mano.
Scienza e natura nel trattamento delle emorroidi
Nonostante siano un problema piuttosto diffuso, le emorroidi restano un problema spesso evitato o vissuto con imbarazzo. Questo silenzio può ritardare la diagnosi, ostacolare l’accesso alle cure più adeguate e peggiorare la qualità della vita di chi ne soffre. Secondo uno studio pubblicato su Multidisciplinary Digital Publishing Institute (MDPI) che ha indagato le barriere psicologiche, sociali e pratiche che impediscono alle persone con sintomi emorroidari di rivolgersi al medico, i motivi principali del ritardo includono imbarazzo, paura di procedure diagnostiche, convinzione che i sintomi si risolvano da soli e mancanza di tempo.
Tuttavia, le emorroidi rappresentano una patologia ben conosciuta e facilmente gestibile, soprattutto se affrontata nelle fasi iniziali. Superare questo tabù culturale gioverebbe sia all’attività di prevenzione sia a normalizzare il dialogo (medico e sociale) su un problema, comunque, diffuso.
Perché i trattamenti topici sono fondamentali per le emorroidi?
Le emorroidi possono compromettere in modo significativo la qualità della vita, per via di sintomi fastidiosi come: dolore, prurito, bruciore, persino sanguinamento. Soprattutto il prurito anale è uno dei sintomi più diffusi associati alle emorroidi. Oltre al disagio fisico, può avere un impatto psicologico altrettanto importante. Da cosa dipende il prurito anale? Potrebbe trattarsi di scarsa igiene, uso di detergenti aggressivi, abbigliamento sintetico, stitichezza e infezioni.
Tra le strategie più efficaci per un sollievo quanto più possibile rapido e mirato, i trattamenti topici come creme, pomate e gel hanno un ruolo chiave nella gestione quotidiana della patologia, anche in presenza di recidive.
Pomate e creme emorroidarie, infatti, agiscono direttamente nella sede del problema, offrendo un sollievo localizzato e immediato. Ciò ha tanti benefici: riduzione di gonfiore e infiammazione; guarigione dei tessuti danneggiati; meno prurito e bruciore; protezione della mucosa anale e miglioramento della lubrificazione utile a facilitare l’evacuazione. Questi prodotti sono indicati sia in caso di emorroidi esterne sia per il trattamento locale di quelle interne.
Anche le sostanze naturali fanno la loro parte
Per quanto riguarda i trattamenti non farmacologici, ci sono numerose sostanze naturali a essersi dimostrate efficaci nella gestione dei sintomi emorroidari.
Aloe vera
Nota per le sue proprietà lenitive e cicatrizzanti, l’aloe vera è tra i rimedi naturali più utilizzati. Idrata in profondità e contribuisce a ridurre il bruciore e la sensazione di fastidio grazie alla sua azione emolliente.
Acido ialuronico
L’acido ialuronico favorisce l’idratazione profonda dei tessuti, rendendo cute e mucosa anale più elastiche e resistenti agli sfregamenti. Questo aiuta a prevenire microlesioni durante la defecazione.
Amamelide
L’amamelide ha un’azione astringente e vasocostrittrice: si è rivelata utile per ridurre il gonfiore e il sanguinamento. È indicata per migliorare il tono vascolare e contrastare l’infiammazione locale.
Rusco e Ippocastano
Ricchi di flavonoidi, estratti vegetali che supportano il microcircolo venoso e rafforzano le pareti dei vasi sanguigni, riducendo la congestione, la sensazione di pesantezza e il dolore.
Olio di mandorle (dolci) e paraffina liquida
Si tratta di due agenti lubrificanti ed emollienti, che aiutano a proteggere la mucosa anale durante l’evacuazione, rendendola meno dolorosa e prevenendo traumi e irritazioni.
I trattamenti topici sono una soluzione efficace, sicura e spesso risolutiva per la gestione quotidiana delle emorroidi, specie nelle fasi iniziali. L’utilizzo di ingredienti naturali consente, oltretutto, di lenire rapidamente i sintomi, proteggere la mucosa anale e favorire la guarigione. Affiancati a uno stile di vita sano, questi prodotti possono davvero fare la differenza nel ridurre l’incidenza e la gravità delle recidive, migliorando il benessere quotidiano.
Aerosolterapia, un rimedio efficace per i piccoli pazienti
Si ricomincia a fare i conti con i classici disturbi di stagione: nasi che colano, tosse che non dà tregua e notti agitate. È ufficialmente arrivato l’autunno. Soprattutto per i più piccoli: con il rientro in scuola aumentano i contatti sociali e, di conseguenza, la circolazione dei virus respiratori. In questo periodo, i genitori lo sanno che l’aerosol torna ad avere un posto fisso sul comodino. Quali sono i benedici dell’aerosolterapia nei piccoli pazienti pediatrici?
Aerosolterapia: cos’è, come funziona e perché è utile per le malattie respiratorie
L’aerosolterapia è un trattamento che consente di somministrare farmaci direttamente alle vie respiratorie, sotto forma di minuscole particelle liquide, attraverso l’inalazione di una nebbiolina generata da appositi dispositivi. È piuttosto utilizzata, soprattutto in età pediatrica, per trattare patologie acute e croniche delle vie aeree, grazie alla sua efficacia, rapidità d’azione e sicurezza. Tuttavia, per ottenere i benefici attesi, dev’essere utilizzata nel modo corretto e sempre sotto prescrizione medica.
Il meccanismo della nebbiolina
L’aerosol è il risultato della trasformazione di una soluzione liquida contenente farmaci o sostanze saline in una nube di microparticelle. Questa nebbiolina, se inalata, riesce a raggiungere in profondità le vie respiratorie (dai bronchi fino ai polmoni), facendo sì che il principio attivo agisca direttamente sull’area interessata. È proprio grazie alla somministrazione topica e localizzata che si ottengono concentrazioni molto elevate del farmaco nel punto da trattare, riducendo il rischio di effetti collaterali sistemici e velocizzando l’efficacia della terapia.
Perché l’aerosolterapia è particolarmente indicata nei bambini
Nei bambini piccoli, che spesso hanno difficoltà a coordinare la respirazione con l’uso di spray o inalatori, la nebulizzazione è una soluzione efficace e sicura. I nebulizzatori, infatti, non richiedono una respirazione attiva e consentono di somministrare il farmaco anche in presenza di respirazione rapida, superficiale o compromessa. Questo è fondamentale, per esempio, durante episodi di broncospasmo o asma acuta, condizioni in cui l’aria fatica a passare nei bronchi a causa di infiammazione ed edema. Ma soprattutto, la nebulizzazione può essere utilizzata fin dai primi mesi di vita, grazie alla possibilità di impiegare accessori pediatrici come mascherine morbide, forcelle nasali o boccagli, che facilitano l’aderenza alla terapia anche nei neonati.
Quando è indicata l’aerosolterapia: le principali patologie respiratorie
L’aerosolterapia è indicata per un ampio spettro di patologie respiratorie, sia delle alte sia delle basse vie aeree. Tra queste, le più comuni sono l’asma bronchiale, bronchiti e bronchioliti, broncospasmi e broncopolmoniti, rinite allergica o virale, laringite e faringite, otite, sinusite, e persino apnee ostruttive del sonno. Nei bambini affetti da asma, inoltre, l’aerosolterapia è la base del trattamento sia nella fase acuta, perché migliora in breve tempo i sintomi come tosse, affanno e respiro sibilante, sia nella sua gestione a lungo termine.
Scegliere il giusto dispositivo è importante
Gli apparecchi per l’aerosolterapia non sono tutti uguali: ognuno ha caratteristiche specifiche in base al tipo di farmaco da somministrare, alla sua velocità d’azione e alle “capacità” del piccolo paziente. La scelta del dispositivo è dunque un passaggio fondamentale per l’efficacia del trattamento.
Tra i più diffusi troviamo i nebulizzatori pneumatici, adatti a tutte le fasce di età perché estremamente versatili. Questi apparecchi sono composti da un’ampolla che contiene la soluzione da nebulizzare, un compressore che genera l’aria compressa necessaria alla nebulizzazione, un tubicino che collega il sistema agli accessori (come maschera o boccaglio) e un’alimentazione a batteria o rete elettrica.
A seconda delle caratteristiche del farmaco e del distretto respiratorio da raggiungere, il pediatra può, tra l’altro, consigliare anche l’uso di spray predosati (pMDI) con distanziatore o inalatori a polvere secca (DPI), più adatti ai bambini più grandi o agli adulti collaboranti.
Aerosol sì, ma solo su indicazione del pediatra
Nonostante possa apparire una soluzione molto semplice, specie per la sua praticità, non bisogna dimenticare che l’aerosolterapia è a tutti gli effetti una terapia farmacologica: dev’essere prescritta dal pediatra, che valuta attentamente la patologia, le condizioni del bambino e il tipo di farmaco da somministrare. Se i genitori scelgono autonomamente e liberamente di utilizzarlo, la cura può essere vana.
L’aerosolterapia non è solo un rimedio per la tosse. È una terapia mirata, efficace e sicura, se usata nel modo giusto. In età pediatrica si rivela la soluzione ideale per trattare numerose malattie delle vie respiratorie, acute o croniche, riducendo i tempi di guarigione e migliorando la qualità della vita del bambino. Ma questo è possibile soprattutto grazie alla piena collaborazione dei genitori, che dovrebbero evitare l’autosomministrazione.
Per approfondire su come effettuare correttamente una terapia con aerosol puoi vedere il videotutorial sull’app Broncosauri.
Non conosci Broncosauri?
Broncosauri è un’app nata a marzo 2025, dedicata alla gestione dell’asma nei bambini. Con il supporto di Recordati ed il patrocinio della Società Italiana di Allergologia Pediatrica (SIAIP), questa app è stata sviluppatada esperti. L’unicità di Broncosauri sta nel fatto che unisce contenuti educativi per i genitori e giochi interattivi per i più piccoli, con l’obiettivo di migliorare l’aderenza alla terapia in modo semplice, e persino divertente!.
Dieta salva-cuore: prevenire l’ipertensione a tavola
Mangiare bene è una vera e propria strategia di prevenzione, anche per il cuore. L’ipertensione arteriosa è una condizione strettamente connessa all’alimentazione e rappresenta un fattore di rischio per alcune patologie cardiovascolari gravi: ictus, infarto, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, insufficienza renale (fonte: SIIA). Si parla di ipertensione in presenza di valori pari o superiori a 140 mm Hg per la pressione sistolica (massima) e/o 90 mm Hg per la pressione diastolica (minima). Nello specifico, viene poi usata una classificazione in gradi: grado 1 per valori compresi tra 140/90 e 159/99 mm Hg; grado 2 se i valori rientrano tra 160/100 e 179/109 mm Hg, infine grado 3 per valori uguali o superiori a 180/110 mm Hg.
Le scelte che facciamo ogni giorno a tavola possono fare la differenza, sia nel prevenire che nel controllare la pressione alta.
Come tutelare la salute del cuore con l’alimentazione
Il primo passo per proteggere il cuore è ridurre l’apporto di sodio con la dieta. Il nostro organismo ha bisogno di piccole quantità di sale: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda un consumo massimo giornaliero pari a 5 grammi. L’eccesso di sodio provoca ritenzione idrica, aumentando il volume del sangue e, di conseguenza, la pressione arteriosa. Limitare la quantità di sale abbassa in modo significativo la pressione, soprattutto nei soggetti predisposti. Vi sono alimenti che nascondono elevate quantità di iodio, primi tra tutti salumi e formaggi stagionati, ma anche molti prodotti industriali, quali snack, salse pronte e dadi da brodo. Sarebbe pertanto meglio evitarli, tenendo a mente che un prodotto è a basso contenuto di sodio se contiene meno di 120 mg per 100 g.
Dieta salva-cuore: i cibi raccomandati
Non dobbiamo però considerare solo gli alimenti a cui rinunciare o che devono essere consumati in quantità non eccessive; ci sono infatti anche diversi alimenti che aiutano a contrastare l’ipertensione grazie al loro contenuto di potassio, calcio e magnesio, minerali che favoriscono l’equilibrio della pressione.
- Frutta e verdura, chedovrebbero essere presenti a ogni pasto. Ricche di potassio, fibre e antiossidanti, sono alleate ideali per la salute cardiovascolare
- Legumi: fagioli, ceci, lenticchie e piselli sono ottime fonti di proteine vegetali, calcio e magnesio
- Latte e yogurt: apportano calcio biodisponibile, utile per regolare la funzioanlità dei vasi sanguigni
- Cereali integrali: oltre a fornire fibre, aiutano a ridurre la glicemia e migliorano il profilo lipidico
- Pesce azzurro e olio extravergine d’oliva: i famosi grassi “buoni” che proteggono le arterie e riducono l’infiammazione
Questi elementi sono i pilastri della dieta mediterranea, tra i modelli alimentari più efficaci nella prevenzione cardiovascolare.
Il ruolo delle fibre e del peso corporeo
Le fibre, presenti in frutta, verdura, legumi e cereali integrali, non solo aiutano la regolarità intestinale, ma hanno un impatto diretto sulla pressione: migliorano il metabolismo di zuccheri e grassi, aumentano il senso di sazietà e aiutano a controllare il peso. Il sovrappeso e l’obesità, infatti, sono fattori chiave nello sviluppo dell’ipertensione. Anche una modesta perdita di peso può avere effetti positivi: basta una riduzione del 5-10% del peso corporeo per vedere un miglioramento significativo della pressione.
La prevenzione dell’ipertensione arteriosa comincia proprio a tavola. Un corretto approccio nutrizionale, integrato a uno stile di vita attivo, rappresenta oggi uno degli strumenti più concreti per ridurre il rischio cardiovascolare e migliorare la qualità della vita a lungo termine.
Prevenzione e salute della prostata: segnali da non sottovalutare dopo i 50 anni
La salute della prostata è un tema cruciale per gli uomini sopra i 50 anni: prevenire significa proteggere il benessere quotidiano, ridurre il rischio di patologie benigne e identificare in maniera precoce eventuali forme tumorali. In Italia, meno del 20% degli uomini si sottopone regolarmente a una visita urologica di prevenzione. Infatti, 9 uomini su 10 consultano uno specialista solo in presenza di gravi sintomi (fonte: Humanitas Medical Care). Eppure, dopo i 50 anni, un approccio proattivo può davvero fare la differenza.
Quali sono i segnali da non sottovalutare
Anche alcune patologie benigne possono influire sulla qualità della vita in modo significativo:
- Ipertrofia prostatica benigna, che riguarda 6 milioni di uomini sopra i 50 anni; la diagnosi aumenta dal 40% al 50% tra i 51 e i 60 anni (fonte: Regione Lombardia). Si manifesta con minzione frequente, risvegli notturni per urinare, urgenza, flusso debole o interrotto
- Prostatite (infiammazione della prostata): un’altra condizione comune—il 10–14% degli uomini ne soffre almeno una volta (fonte: Regione Lombardia). Le forme croniche possono compromettere seriamente la qualità di vita, interferire con la fertilità e mascherare sintomi più gravi
Negli stadi iniziali, il tumore della prostata è spesso asintomatico e può causare sintomi simili all’ipertrofia: frequente minzione, difficoltà di flusso, sangue nelle urine o dolore. Quando invece raggiunge uno stadio più avanzato può provocare dolori ossei o compressione midollare.
Perché la diagnosi precoce è importante
Diagnosticare precocemente il tumore della prostata aumenta la possibilità che la cura si riveli efficace, preservando funzionalità e qualità di vita. Lo screening include sempre l’esame del PSA (Antigene Prostatico Specifico), che consiste in un semplice prelievo ematico. Questo esame non è raccomandato a tutti indistintamente, ma è consigliato a partire dai 50 anni, se non ci sono fattori di rischio. Nei soggetti con familiarità per carcinoma della prostata o mutazioni genetiche (per esempio BRCA) l’esame del PSA è indicato già tra i 40 e i 45 anni.
Cosa fare se il PSA è elevato
È opportuno precisare che il PSA può essere elevato (ossia superiore a 4 ng/ml) anche in caso di infiammazioni, infezioni o ipertrofia. In presenza di un valore elevato, è doveroso approfondire con una visita urologica che può includere:
- Risonanza magnetica multiparametrica (mpMRI), che aiuta a distinguere noduli benigni da quelli sospetti
- Una biopsia
In Italia, oltre il 90 % dei casidi tumore della prostata viene diagnosticato in fase iniziale, con alte probabilità di cura o sopravvivenza a lungo termine (fonte: Corriere della Sera). Sono disponibili diverse opzioni terapeutiche: chirurgia, radioterapia, brachiterapia, ormonoterapia, e più recenti farmaci sistemici. Esse sono decise da team multidisciplinari.
È bene aggiungere che anche lo stile di vita è importante: condurre una vita attiva e sanagiova alla salute della prostata.
Dopo i 50 anni, la prevenzione urologica è una scelta di responsabilità e soprattutto di cura verso sé stessi. I segnali più comuni sopra citati, possono nascondere condizioni che variano dall’infiammazione benigna fino al tumore della prostata. Sottoporsi a programmi di screening e a visite di follow up regolari con lo specialista sono strumenti indispensabili per la diagnosi precoce. È bene aggiungere che anche lo stile di vita è importante: mantenersi attivi facendo sport e seguire un’alimentazione sana, sono fattori importanti per preservare anche la salute della prostata.
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